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La ruota e le porte della vita di
Anna Maria Guarnieri
Articolo del critico d'arte
Alberto Gavazzeni
Fugit irreparabile tempus: e fugge, dopo aver sgretolato una
dopo l’altra le civiltà tanto care ad Annamaria Guarnieri,
l’artista-archeologa,
lasciando ad antichi orologi il compito di fissare sul calendario una realtà
senza oggi né domani.
Ma il “sole-ruota”, oltre ad essere capace di celebrare e al contempo
polverizzare
tutti i miti della storia, ha il compito di riportarci alle cose di ogni giorno,
alla necessità di continuare a far girare gli ingranaggi che regolano il tempo
della storia, a stabilire il bisogno che gli uomini sappiano prima o poi
trasformarsi in fratelli.
Che il tempo sia una componente essenziale della pitto-scultura della Guarnieri
risulta evidente proprio dall’assillante presenza di quella ruota dentata, di
quell’ingranaggio che fa tornare alla mente il mostro meccanico contro cui
lottava Charlie Chaplin in “Luci della ribalta”; se vuoi apparire, ed oggi tutti
lo vogliono, devi essere capace di non farti stritolare.
Una ruota, quella della vita, che macina tutti, belli e brutti, ricchi e poveri,
ma che sta anche ad indicarci come il tempo leghi gli accadimenti delle nostre
ed altrui esistenze, sgretolando certezze e
civiltà,
ma facendo nascere speranze e uomini nuovi.
Nel tritacarne simbolico-intimista di Anna Maria Guarnieri, a dimostrazione che,
alla fine, lo jing e lo jang devono per forza toccarsi, passano tutti i simboli
della nostra civiltà: dal disco di Nebra ai re Incas, dai Moai di Rapa Nui
all’etrusco Mastarna che regnò su Roma con il nome di Servio Tullio, dai
babilonesi di Assurbanipal ad Akenaton, il faraone che introdusse il culto
monoteistico di Aton, il dio-sole, ruota dell’universo. E il cerchio si chiude.
Dicevamo una pittura simbolico–intimista: l’albero della vita, l’unicorno, i
simboli e i misteri delle grandi civiltà del mondo antico, i monumenti di ieri e
di oggi. Il tutto avvolto dalla magia del misticismo che fa da fil rouge
attraverso un tempo senza tempo, un tempo che ricorda, ma che corrode i ricordi.
E dopo la ruota le porte.
“Porte – scrive il prof. Gerardo Pecci - dietro cui si cela un universo
immaginato, ma che non è visibile se non attraverso la potenza
dell’immaginazione”.
Io le definirei porte del tempo; porte che attraverso i simboli e i colori ti
insegnano a vedere, a capire cosa siamo stati e cosa possiamo aspettarci dal
futuro. Il tempo quindi, ancora una volta, ma in un contesto diverso,
tranquillizzante e decisamente più sereno: il tempo pittorico quello che ci
costringe a riflettere e a pensare che dietro a quelle porte che sembrano
ermeticamente chiuse vi è un altro tipo di mondo pronto ad emergere: quello dei
sentimenti, dell’emozione, dell’amore per l’uomo. Sperando che non torni più il
tempo di Caino ...